mercoledì 20 luglio 2016

Antonio Gramsci e il Buddha - II

Anche nei Quaderni del carcere si trovano un paio di annotazioni di Antonio Gramsci sul buddhismo. Una di esse è leggibile qui: https://quadernidelcarcere.wordpress.com/2014/01/10/noterelle-sulla-cultura-giapponese/ 
(Quaderno 5 (IX) § 50).



Riportiamo di seguito il breve passo nel quale Gramsci accenna al buddhismo, in questo caso quello cinese, rifacendosi ad una pubblicazione del 1927 di A. Forke e ad una Storia della filosofia cinese del 1919 di Hu Shi.

Nel «Marzocco» del 23 ottobre 1927 Alberto Castellani dà notizia del libro di Alfredo Forke: Die Gedankenwelt des chinesischen Kulturkreises, München Berlin, 1927 (Filosofia cinese in veste europea e… giapponese). Il Forke è professore di lingua e civiltà della Cina all’Università di Amburgo ed è noto come specialista dello studio della filosofia cinese. Lo studio del pensiero cinese è difficile per un occidentale per varie ragioni: 1) i filosofi cinesi non hanno scritto trattati sistematici del loro pensiero: furono i discepoli a raccogliere le parole dei maestri, non i maestri a scriverle per eventuali discepoli; 2) la filosofia vera e propria era intrecciata e come soffocata nelle tre grandi correnti religiose, Confucianismo, Taoismo, Buddismo; così i cinesi passarono spesso agli occhi dell’europeo non specialista o come privi di filosofia vera e propria o come aventi tre religioni filosofiche (questo fatto però, che la filosofia sia stata intrecciata alla religione ha un significato dal punto di vista della cultura e caratterizza la posizione storica degli intellettuali cinesi). Il Forke appunto ha cercato di presentare il pensiero cinese secondo le forme europee, ha cioè liberato la filosofia vera e propria dai miscugli e dalle promiscuità eterogenee; quindi ha reso possibile qualche parallelo tra il pensiero europeo e quello cinese. L’Etica è la parte più rigogliosa di questa ricostruzione: la logica è meno importante «perché anche i Cinesi stessi ne hanno avuto sempre più un senso istintivo, come intuizione, che non un concetto esatto, come scienza». (Questo punto è molto importante, come momento culturale). Solo alcuni anni fa, uno scrittore cinese, il prof. Hu Shi, nella sua Storia della Filosofia Cinese (Scianghai, 1919) assegna alla Logica un posto eminente, ridisseppellendola dagli antichi testi classici, di cui, non senza qualche sforzo, tenta di rivelare il magistero. Forse il rapido invadere del Confucianesimo, del Taoismo e del Buddismo, che non hanno interesse per i problemi della Logica, può avere intralciato il suo divenire come scienza. «Sta di fatto che i Cinesi non hanno mai avuto un’opera come il Nyàya di Gautama e come l’Organon di Aristotile». Così manca in Cina una disciplina filosofica sulla «conoscenza» (Erkenntnistheorie). Il Forke non vi trova che credenze.


Un notazione di Gramsci (o forse dell’autore da lui citato, ma che comunque Gramsci non contesta) può colpire il lettore. Egli dice, a proposito delle tre grandi scuole della spiritualità cinese, che “non hanno interesse per i problemi della logica”. Questo può magari corrispondere al vero per ciò che concerne il buddhismo cinese, ma non lo è per il buddhismo indo-tibetano, che al contrario ha sviluppato al massimo grado l’argomentazione logica nel contesto del training spirituale del praticante. È da dire però: 1) che a Gramsci non interessava, almeno in quel contesto, approfondire in modo specifico la sua conoscenza delle tradizioni buddhiste, e 2) che per quanto riguarda il buddhismo indo-tibetano egli non aveva a disposizione gli strumenti per studiarlo, in quanto come sappiamo fu detenuto nelle carceri fasciste dal 1927 al 1934, anno in cui ottenne la libertà condizionata per le sue gravi condizioni di salute.

L'Istituto di Dialettica Buddhista
di Dharamsala (1991)